"Il miracolo dell'amore" - A teatro con Giuseppe Ellero
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"Il miracolo dell'amore"
A teatro con Giuseppe Ellero

Un articolo scritto per il Bollettino della SS. Annunziata nel 2003 ha per oggetto una locandina teatrale degli anni Venti del Novecento. Il titolo è:

Don Giuseppe Ellero, sacerdote drammaturgo (Tricesimo, 6 giugno 1866 - Udine, 30 gennaio 1925).
Uno dei drammi di don Giuseppe Ellero, Il miracolo dell’amore, in cinque atti, venne rappresentato domenica 28 marzo 1920, alle ore 16,30 dal Gruppo Filodrammatico della SS. Annunziata nel Teatro dell’Associazione Cattolica di S. Gallo, via Leonardo da Vinci 12.
Questi i personaggi e gli interpreti (fra parentesi): Paolo Emilio (Marcello Cagnacci), il tribuno Marco Aquilio (B. Paoloni), Elio suo figlio (G. Ponti), Thorwald, schiavo barbaro (G. Mora), Hermann, suo figlio (A. Umili), Toante, pedagogo greco (N. Massue), Thierik, soldato barbaro (M. Capecchi), il patrizio Lucio Ponzio (A. Celli), il patrizio Aulo Trebonio (G. Balma), Glicero, servo di M. Aquilio (R. Olivieri), servi di M. Aquilio ...
Il dramma si svolge in Roma, l’anno 244 d. C. (cioè al tempo di Gordiano III e di Filippo Arabo imperatori).
Negli intermezzi una scelta orchestra eseguirà pezzi di musica classica – riporta il manifestino.
Purtroppo non abbiamo il testo del dramma di don Ellero ... ma se qualche lettore ne fosse in possesso, ce ne mandi cortesemente una fotocopia ...

Un dono ... La signora Cinzia Bincoletto, catalogatrice presso la Biblioteca del Museo della Bonifica di San Donà di Piave, ha classificato una rara copia de Il Miracolo dell’Amore, e l’ha cortesemente mandata in PDF alla sottoscritta.
Il file contiene la copia completa annotata dagli attori e purtroppo deteriorata. Una nota a pie’ di pagina informa che l’opera fu rappresentato per la prima volta nel Seminario di Udine durante il Carnevale del 1896 e poi in altri istituti.
La mando in rete, pensando che possa incontrare degli estimatori, anticipandone qui di seguito la trama.
Come breve commento, si può dire che don Giuseppe Ellero, conosceva bene il suo “mestiere” di drammaturgo e sapeva tenere sospesa fino in fondo la narrazione. Limpidamente manifesta anche lo scopo de il Miracolo: l’insegnamento cattolico diretto ai giovani che, sorretti dalla fede, possono avere una loro autorità nel portare un cambiamento in meglio dentro mondo violento e dissoluto dei propri padri. Il cristianesimo di cui Ellero scrive è quello cosiddetto “primitivo”, cioè del tempo delle persecuzioni romane. Tuttavia ha un’eco nei conflitti tra le nazioni e in quella deriva spirituale che, lui vivente, condurrà presto alla Grande Guerra.

La trama. Figlio di un patrizio che ha fatto con successo diverse campagne militari nel Nord Europa, è trascurato dal padre, sempre assente, e seguito da un precettore che non ama, il greco Toante, insegnante di filosofia. Lo serve con rassegnazione uno schiavo barbaro della sua stessa età, Hermann. Nella prima scena, che si svolge nell’atrio di casa Aquilia, mentre il giovane schiavo agita il ventaglio sul viso di lui, Elio mostra con insofferenza la sua crescente inquietudine. Chiede dell’acqua. Tratta male lo schiavo e il precettore. Vuole leggere Platone che ritiene sia “L’uomo dalla parole d’oro e dalle sfumature di rosa intorno alle parole”. Soprattutto vuole sapere dell’anima e Toante gli fa una citazione del filosofo:
“L’anima cade giù dalla misteriosa luce dell’iperuranio, si chiude in un corpo, passa in un altro, in un terzo, in un quarto e naufraga in fine nel mistero originario”.
Sono altri però i filosofi e gli scrittori che il precettore vuole proporre a Elio. Mentre parlano nell’atrio giungono Marco Aquilio, suo padre, Lucio Ponzio e Aulo Trebonio tribuni. Marco ha condotto con sé per farlo ammirare il biondo Thorwald, bellissimo schiavo barbaro, vestito con gli abiti di guerra, catturato l’anno prima durante una battaglia contro i “Salii”. È anche il padre di Hermann.
I nobili romani applaudono il guerriero diventato quasi una bestia da circo e progettano una festa da fare la sera per celebrare il ritorno di Marco. Elio, che disprezza la crapula del padre, riesce a farla rimandare al giorno dopo.
Rimasti soli, Hermann e Thorwald si abbracciano. Il padre però entra da subito in forte agitazione. Ricorda la patria e la libertà perduta, non accetta la schiavitù e vorrebbe subito vendetta. È soprattutto in pena per il figlio che trova pallido e sofferente a causa dei maltrattamenti. Comprende, vedendo uno staffile, che viene frustato. Quindi racconta al giovane del giorno in cui fu catturato e del sogno nel quale gli era apparsa una vergine dal capo d’oro e con una spada fiammante nel pugno. Gli aveva comandato di fare un arco e la corda con la sua capigliatura e di combattere. Rievocando il sogno, Thorwald si sente più coinvolto dal proposito di vendetta, ma Hermann lo ferma ricordando che a Roma c’è un uomo meraviglioso, un romano “che sa tutto ciò che noi pensiamo e soffriamo”. Si chiama Paolo Emilio che gli ha detto che: “È disceso il Dio e ha tolto su di sé il nostro dolore. A noi ha lasciato la gioia”.
Interrompe ulteriori spiegazioni, Thierik lo svevo, vestito da soldato dell’esercito romano. Dopo esser entrato nell’atrio, racconta la sua storia dicendo che è fuggito dalla patria. Però ha visto Thorwald, lo ha riconosciuto ed è venuto a trovarlo. Ricorda che i romani senza l’esercito barbaro sono poca cosa e che un giorno i suoi compatrioti avranno la loro rivincita. Si rifiuta, con Hermann, di seguire l’invito pericoloso di Thorwald a uccidere subito i patrizi di villa Aquilia.
Il giorno dopo, nel triclinio, senza sentire ragioni, Thorwald costruisce un rozzo arco e si taglia i capelli per usarli come corda, come ha visto in sogno. Hermann lo rimprovera ancora una volta e lo supplica di non spargere più sangue, invitandolo a aspettare e incontrare Paolo Emilio.
Entra Thierik che annuncia la morte dell’imperatore Gordiano, portando una lettera per il tribuno. È l’ordine ai soldati di non abbandonare le armi.
È presente anche Paolo Emilio che poco prima ha difeso Hermann punito perché ha rovesciato il vaso degli aromi; ora interviene contro Thorwald che non comprende la mitezza del figlio e la travisa per poco coraggio . Per quietarlo, Paolo si dichiara suo fratello e abbraccia il ragazzo, meravigliando il suo interlocutore per la calma che dimostra.
Gli dice poi: “Non guardare le vesti, Thorwald. Puoi tu invece prendere in mano il tuo cuore e accostarlo al mio? Vedrai due vite uguali, brancolanti nel buio della medesima via, doloranti in faccia al medesimo destino. Ma sappi che in alto, in alto, lontano e pur prsente, v’è un Padre invisibile che grida loro amatevi e venite!”. Aggiunge poi che l’ha chiesto al tribuno e che farà parte della sua famiglia per un giorno solo.
Inizia il festino. Marco e gli amici fanno il brindisi: “Pace ai mani del grande Gordiano Augusto”, invitando anche Paolo Emilio che rifiuta. Come al solito, Elio è disgustato dalla dissolutezza del padre. Tuttavia, con premura, lo ammonisce a non bere perché l’indomani dovrà combattere i tumulti dei pretoriani. Nel diniego del ragazzo di ubriacarsi, Paolo Emilio capisce che è stato conquistato dal maestro di Nazaret.
Il giorno dopo Hermann riordina il triclinio, ma è molto stanco. Una parte di lui non si rassegna ad un triste destino di servizio e sofferenza. Chiede a Gesù di rendergli la metà della sua “forza di fanciullo selvaggio”.
Thorwald invece è calmo, ha ben dormito, è pieno di gioia perché una specie di grazia è entrata in lui. La sera prima Paolo Emilio lo ha condotto in una grande casa dove era tanta gente e dove ufficiali romani e servi si abbracciavano e si lodavano. Si era stupito e non aveva avvertito in questi atteggiamenti l’infiacchimento del coraggio, ma l’effetto di una vampata d’amore, e una via nuova.
Un vecchio dalla lunga barba candida gli aveva raccontato la parabola del buon samaritano in una versione speciale. Un romano attraversava la foresta, vennero i nemici, lo derubarono, lo ferirono e lo lasciarono mezzo morto. Passarono per la via altri romani e lo scansarono. Passò un germano, ne ebbe pietà, lo curò e lo portò in una sua tenda a guarire, versando “olio e vino fatato per sanare un male che tutti abbiamo nel cuore”.
Dopo il racconto, il vecchio aveva posato una mano sui suoi capelli e detto: “Amate … l’odio quel male”.
La mattina però la grazia del ricordo si affievolisce e, nell’atrio di casa Aquilia, Thorwald è di nuovo in pena per le condizioni del figlio e desidera vendetta. Rompe lo staffile di Elio e provoca una crisi ad Hermann che si sente perduto. Elio infatti entra in scena e si adira con lui, nonostante il padre si prenda la colpa.
Paolo Emilio interviene e, visto “il doloroso gruppo”, impone a Thorwald di portare il figlio sfinito a dormire. Raccoglie poi la confidenza di Elio sulla vergogna provata riguardo alla festa fatta dal padre con gli amici. L’uomo comprende che 16 anni sono un’ “età bella e terribile in cui il cuore si torce sotto il pungolo di bisogni nuovi …”. Per lui il giovane è degno di ben altra vita e per questo gli parla di Hermann che è malato e che morirà presto. Il giovane patrizio scrolla le spalle, ma prova pietà. Si sconvolge quando Paolo Emilio gli rivela che entrambi sono cristiani.
Intanto il tribuno Marco Aquilio, già al campo marzio a capo della coorte, torna a casa perché la notte ha dormito due sole ore e non è più in grado di stare in piedi. Elio ancora lo rimprovera. Si ritirano. Giungono sulla scena Toante, Lucio Ponzio e Aulo Trebonio e commentano lo staffile spezzato, fin quando lo stesso Elio corre loro incontro e grida che il padre è morto. Marco aveva soli 38 anni.
I tribuni con indifferenza escono di casa e vanno alle terme. Toante da gli ordini per il rogo. Elio sviene senza che nessuno abbia cura di lui.
Nel IV atto la scena si sposta nella soffitta di casa Aquilia e nella misera stanza di Hermann che giace in fin di vita. Ha il conforto di Paolo Emilio che gli legge il vangelo nella parte dove Gesù implora il Padre di togliergli il calice della passione e tuttavia si dichiara disposto a compierne la volontà. I discepoli dormono mentre giunge l’ora della prova ... il brano del vangelo sempre di più coinvolge il ragazzo che desidera che il padre lì presente senta e comprenda le parole.
Ma Thorwald ancora una volta non capisce e recrimina sulla sua sofferenza. Di nuovo viene rimproverato da Paolo Emilio per la sua crudeltà. Gli viene ricordata la parabola del buon samaritano … e la storia del “nume” che “sollevava dal letto i morenti” e faceva “risorgere i morti”. Thorwald chiede il miracolo e Paolo Emilio gli dice che lo ha già fatto.
L’altro però desidera un prodigio materiale … mentre va a prendere dell’acqua per il figlio malato, Paolo Emilio dice a Hermann che Elio ha chiesto di lui e gli legge ancora il vangelo.
Elio giunge poco dopo con in mano un’ampolla di vino aromato. A lui il ragazzo morente protesta il suo affetto e offre la sua povera vita affranta. Il giovane patrizio si commuove e chiede perdono perché ha capito di non aver mai amato e di aver vissuto tra sapientoni e beoni che “offrivano vino e parole”. Si abbracciano.
A sciupare il momento arriva Toante per condurre via il suo discepolo che, per renderlo innocuo, lo libera dal suo stato di schiavo. Toante avrà sempre la sua “sportula” ma non la sua anima.
Rientra anche Thorwald che vedendo Elio rompe la tazza d’acqua portata per il figlio. La sua furia provoca la disperazione di Hermann che muore.
Dopo tre giorni (atto V), davanti a casa Aquilia, al canto lontano dei soldati, Paolo ed Elio ricordano il giovane morto e una ciocca dei suoi capelli biondi messa sui resti dello staffile per espiare. Paolo Emilio però è convinto che l’espiazione non sarà solo di pianto perché ritrova in Elio il dolce fanciullo morto … lo vedrà rivivere anche Thorwald, che è fuggito.
Il guerriero barbaro in realtà sta seguendo il giovane patrizio per vendicarsi. Dopo che il ragazzo e Paolo sono rientrati, mette in atto il suo proposito e incendia la parte della casa dove sono i rotoli e le carte. Ma non riesce a fuggire: nell’atrio Paolo Emilio lo vede, lo ferma e lo invita a ricordare la sera passata a casa sua per far ritornare alla mente il baleno di felicità provata. Thorwald gli ribatte che ha supplicato il miracolo, ma che non si è realizzato. L’altro risponde che Elio era nella stanza di Hermann perché lo aveva spinto il “Dio che tutti ci muove”. Dopo che il padre era morto, disperato, aveva cercato un sostegno e abbracciato il suo giovane schiavo, versandogli prima il vino consolatore, mentre lui con rabbia aveva rotto la tazza d’acqua. Gli ha chiesto pure perdono. Hermann ha così trovato un fratello … Al ricordo della pace del figlio, Thorwald è preso dalla commozione e si quieta. Vedendo la casa in fiamme, con grande coraggio si slancia all’interno per salvare il ragazzo. Il tempo sembra non passare mai. Paolo Emilio prega. Mentre accorrono i vigili a spengere il rogo, ora visibile in tutta la città, si ode la voce di Thorwald: “Salvo!”. Il guerriero torna nell’atrio portando Elio in braccio. Paolo Emilio grida l’ultima frase del dramma: “Oh piccolo Hermann! È compiuto il miracolo”.
[“Dal vestibolo prorompono i servi: dalle vie cittadini e soldati confusamente”].

Paola Ircani Menichini, 21 febbraio 2020. Tutti i diritti riservati

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